Arsenij Aleksandrovič Tarkovskij

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E lo sognavo e lo sogno

E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.

Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.

Non mi occorrono le date: io ero, e sono e sarò.
La vita è la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso

solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi
di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia


                                        

Primi Incontri

Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: “Tu sia benedetta”,
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.

Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e ” Dio mio! ” tu eri mia.

Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tua svelò
il proprio nuovo significato: zar.

Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.

Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo”

Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.


                                        

È fuggita l’estate…

È fuggita l’estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.

Né il bene né il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,
sotto l’ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami…
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.
(Arsenij Tarkovskij)

Now summer has passed

Now summer has passed,
As if it had never been.
It is warm in the sun.
But this isn’t enough.

All that might have been,
Like a five-cornered leaf
Fell right into my hands,
But this isn’t enough.

Neither evil nor good
Had vanished in vain,
It all burnt with white light,
But this isn’t enough.

Life took me under its wing,
Preserved and protected,
Indeed I have been lucky.
But this isn’t enough.

Not a leaf had been scorched,
Not a branch broken off…
The day wiped clean as clear glass,


                                        

Il manoscritto
Ad Anna Achmatova

Ho finito il libro ed ho detto basta
non posso più rileggere il manoscritto.
Il mio destino si è bruciato tra le righe
mentre l’anima cambiava rivestimento.


Così il figliol prodigo si strappa la camicia dalle spalle
così il sale dei mari e la polvere delle strade terrestri
benedice e maledice il profeta,
che da solo camminava sugli angeli.

Io sono quello che ha vissuto al suo tempo
ma non ero io. Io il più  giovane della famiglia
degli uomini e degli uccelli, io ho amato insieme a tutti


e non abbandonerò il banchetto dei viventi –
diretto sigillo del loro onore familiare,
diretto vocabolario dei legami di radice.

(1960)