Mariangela Gualtieri

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Forse si muore oggi – senza morire.
Si spegne il fuoco al centro.
Sanguinano le bandiere. Generale è la resa.
Ciò che nasce ora crescerà in prigionia.
Reggete ancora porte invisibili dell’alleanza
bastioni di sereno. Puntellate il bene
che si sfalda in briciole in cartoni.
Il popolo è disperso. In seno ad ognuno cresce
il debole recinto della paura – la bestia spaventosa.
A chi chiedere aiuto? E’ desolato deserto il panorama.
Si faccia avanti chi sa fare il pane.
Si faccia avanti chi sa crescere il grano.
Cominciamo da qui.


                                        

Non sono capace, amore, di farti un canto.
Tu sei tutto di spine e di fuoco
e mi tieni lontana dal tuo cuore
pericoloso. Io non so bastarti alla gioia
e così poco così poco mi pare
t’incanto, sollevo quell’ombra scontrosa
che tu sei tutto d’amaro e furore
tu sei in urto e sperdimento
mio velocista, mio primatista del cuore
mio barbarico ragazzo di vento
mio torrente furioso
arrivi alla mia acqua quieta
con onde e sonagli e pepite d’oro.
Vecchio fiume saremo un bel giorno io e te,
io acqua e tu moto, io sponda e tu vento,
io pioggia e tu lampo,
io pesce e tu guizzo d’argento
io luna riflessa, tu cielo tu spada
d’Orione, tu che tutto l’amore umano
che tento che tento
d’amarti per bene
mio grembo splendenza.
E tu prendimi, portami con te
come un incendio nelle tue abitudini.


                                        

Se questo è amore, mi dico. Ma sì,
questo è l’amore che conosciamo. Ora.
Amore appiccicato, che incolla
quel poco di ala modesta sulla schiena.
Amore legato. In cui si ripete la solfa
del tu e dell’io. Non siamo capaci
di essere insieme acqua e moto,
sale e onda, unica impresa spettacolare.
Come il mare laggiù, lo vedì?

(Mariangela Gualtieri, Bestia di gioia)


                                        

Ogni frutto
stringe il seme come giurando.
Cadendo giura e in forma di radice risponde
alla terra che chiama. Alla terra che canta
la promessa infinita. C’è solo vita
niente altro. Solo vita.


                                        

Io vedo un arcipelago di luce
fiumi di luce d’oro
isole d’un verde lussureggiante
tante, spopolate, fitte di piante
verdissime d’una vita di foglie
e di radici. Un posto del mondo
dove regna una pace avventurosa –
il sogno di chi è intrappolato
tra faccende e incombenze pesanti
un paesaggio incantato, isole
galleggianti su fiumi d’acqua e luce.
Solo per te. Solo solo per te.
Nessun’orda viaggiante ci approda.
Nessuno qui inchioda assi per costruire
finte capanne di paglia, hotel.
Grande come la testa di un chiodo
è solo un pezzo di foglia di salvia.


                                        

Io sono Caino. Non sono l’antenato
non abito un passato favoloso
non sono la pagina di un libro
io non sono il reietto
il primo mal riuscito che s’accantona e si perde
una manovra sbagliata della creazione
io non sono
una patologia malata.

Non sono la favola stantia
di due fratelli nello scenario vuoto
del principio. Io vivo adesso
dentro ogni umano, e lo strattono
fino all’insolenza, fino al delitto
a volte.

[…]
Sono io il mistero
del male che ti attrae
e con cui ti batti. Sempre.


                                        

Quando vuole pregare
lei va alla piscina comunale
mette la cuffia e gli occhialini
entra nell’acqua ma non è capace
di domandare, o forse non ci crede.
Allora fa una bracciata e dice
eccomi, poi ne fa un’altra
e ancora eccomi. Eccomi dice
ad ogni bracciata. Eccomi a te
che sei acqua e cloro
e questi corpi a mollo come spadaccini.
E nello spogliatoio, dopo, alla fine
prova sempre una gioia – 
quasi l’avessero esaudita
di qualche cosa che non ha chiesto
che non sapeva. Che mai saprà
cos’era.


                                        

“Amore mio,
è difficile da questo fondo, da questo finale, dire come mi manchi, come immenso tu sei nel mancare, adesso che mi sono persa fra masse dure, fra cinghie di buio pesto, senza divinità, senza la tua mano che tutto sorregge. Tu mi credi più forte, mi pensi in oro e argento, ma guarda l’orma che lascio, come di cagna, di passero stanco, di bruco, di mosca. Non vedi come mi spengo se non mi ami? Mi secco come una pianta.
Amami ancora un poco, con cura, con tempo, con attesa. 
Amami come amano i forti spiriti, senza pretesa, con fuoco generoso, con festa, senza ragionamento.
E scusa questo domandare ciò che si deve dare, questo avere bisogno, scusalo. Non è degno del patto che lega la rondine al suo volo, la rosa al suo profumo, il vino al suo colore, il tuo cuore al mio”.


                                        

Meraviglia dello stare bene
quando le formiche mentali
non partoriscono altre formiche
e si sta leggeri come capre sulla rupe
della gioia

(da «Le giovani parole»)