Sergej Aleksandrovič Esenin

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Autunno

a R.V. Ivanov

Silente tra i fitti ginepri lungo il dirupo
l’autunno pettina – fulva giumenta – la propria criniera..
Sul velo fluviale degli argini
s’ode il suo stridere azzurro di ferri..
Il vento-asceta con attento passo
calpesta le foglie sul ciglio del sentiero.
e bacia in un cespuglio di sorbo
le ulcere rosse di un Cristo non visto..

Sergej Esenin, Stanco di vivere e altre poesie (a cura di M.DeMichiel, Via del Vento Edizioni)

Fiori – XI

Ottobre! Ottobre!
Ho una pietà profonda per quei rossi
Fiori che sono caduti.
La testolina recide alla rosa l’acciaio.
E tuttavia io l’acciaio non temo.
Fiori che camminate sulla terra!
Essi anche l’acciaio fanno più forbito,
Di acciaio varano vascelli,
Di acciaio fanno abitazioni.


                                        

Alla sorella Sura

In questo mondo sono soltanto un passante,
Salutami allegramente con la mano.
Anche il lume della luna autunnale
È dolce, così placido.

Per la prima volta mi riscaldo alla luna,
Per la prima volta il fresco mi scalda,
E nuovamente vivo e spero
Nell’amore, che ormai non è più.

Questo l’ha fatto la nostra pianura,
Disseminata di sale
Dal bianco della sabbia,
E l’innocenza sciupata di qualcuno,
E la tristezza a qualcuno cara.

Perciò giammai non tacerò,
Che insieme, d’un solo amore con te,
Ci è accaduto d’amare questa patria.


                                        

Confessione d’un teppista

Non tutti possono cantare,
Non a tutti è dato cadere
Come una mela ai piedi degli altri.

È questa la più grande confessione
Che possa fare un teppista.

Vado a bella posa spettinato,
Col capo, come un lume a petrolio, sulle spalle.
Mi piace rischiarare nelle tenebre
Lo spoglio autunno dell’anime vostre.
Mi piace che i sassi dell’ingiura
Mi volino addosso, come grandine
Di ruttante bufera.
Allora stringo solo con le mani più forte
La bolla dondolante dei capelli.

M’è così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il fioco stormire dell’alno,
Che ho un padre e una madre lontani,
Cui non importa di tutti i miei versi,
Cui son caro, come un campo e la carne,
Come la pioggerella,
Che a primavera fa soffici i verdi.
Loro verrebbero a infilzarvi
Con le forche per ogni vostro grido
Scagliato contro me.

Poveri, poveri contadini!
Siete certo imbruttiti,
E temete il Signore
E le viscere palustri.
Oh! poteste capire
Che vostro figlio
È il miglior poeta di Russia!
Non vi brinava sul cuore
Per la sua vita,
Quando coi piedi nudi si bagnava
Nelle pozze autunnali?
Ora invece cammina in cilindro
E scarpe di vernice.

Ma vive ancora in lui l’antica foga
Del monello campagnolo,
Che ogni cosa vuol rimettere aposto.
Ad ogni mucca sulle insegne di macelleria
Egli manda un saluto di lontano.
Ed incontrando in piazza i vetturini
E ricrodando l’odore di letame
Dei campi natali,
È pronto a reggere la coda a ogni cavallo,
Come lo strascico d’un abito nuziale.

Amo la patria,
Amo molto la patria!
Anche se copre i suoi salici
Rugginosa mestizia.
Mi son cari i grifi imbrattati dei maiali
E nella quiete notturna la voce
Risonante dei rospi.
Sono teneramente malato
Dei ricordi d’infanzia,
Sogno la bruma
Delle serate umide d’aprile
Il nostro acero pareva
Si fosse accoccolato a riscaldarsi
Al falò del tramonto.
Oh, quante uova rubavo ai nidi dei corvi,
Arrampicandomi sui suoi rami!
È sempre lo stesso, anche ora,
Con la sua cima verde?
La sua corteccia è dura come allora?

E tu, mio prediletto,
Fedele cane pezzato?!
Per la vecchiaia ora sei stridulo e cieco
Ed erri nel cortile,
Trascinando la coda penzolante,
Senza più riconoscere al fiuto
Dove sia la porta e la stalla.
Oh, come mi son care quelle birichinate,
Quando, rubato alla mamma un cantuccio di pane,
Lo mordevo insieme uno alla volta,
Senza lasciar cadere una briciola
L’uno all’altro.

Io non sono mutato.
Nel mio cuore non sono mutato.
Come fiordalisi nelle segale,
Gli occhi fioriscono nel volto.
Stendendo stuoie dorate di versi,
Ho voglia di dirvi una tenera parola.
Buona notte!
A voi tutti buona notte!
Più non tintinna nell’erba del crepuscolo
La falce del tramonto.
Quest’oggi ho tanta voglia di pisciare
Dalla finestra mia contro la luna.

Luce azzurra, luce sì azzurra!
In quest’azzurro perfino morire
Non duole. Ebbene, che importa
Se ho l’aspetto d’un cinico
Che si è agganciato al sedere un fanale!
Vecchio, buon Pegaso spossato,
Ho forse bisogno del tuo morbido trotto?
Son venuto come un servo maestro
A decantare e celebrare i topi.
La mia testa, come un agosto,
Si effonde in vino di capelli ribelli.

Ho voglia d’essere una gialla vela
Per il paese verso cui navighiamo.


                                        

Cantata

Dormite, cari fratelli!
Di nuovo la terra natale
Avanza incrollabili armate
Sotto le mura del Cremlino.

Nuovi germi nel mondo,
Bagliore di rossi lampi…
Dormite, cari frateli!
Nella luce delle tombe imperiture.

Il sole come un sigillo d’oro Fa la guardia alle porte…
Dormite, cari fratelli,
Come un’armata vi passa davanti
Il popolo verso le albe del mondo.


                                        

Sono un pastore

Sono un pastore; i miei palazzi sono
Le prode dei campi mareggianti,
I declivi per le verdi colline
Con le stridule grida di beccacce.

Intrecciamo un merletto spora il bosco
Di spuma giala le nuvole.
Nel quieto sonnecchiare alla tettoia
Odo il sussurro della pineta

Al crepuscolo brillano i verdi
I pioppi rugiadosi.
Sono un pastore; i miei palazzi sono
Nella verzra tenera dei campi.

Parlan con me le vacche
Accennando col capo.
I quercieti fragranti
Coi rami chiamano il fiume.

Dimentico dell’umano dolore,
Dormo sulla ramaglia
Prego nei tramonti purpurei,
Mi comunico presso il ruscello.


                                        

Io ricordo

Io ricordo, o amata, ricordo
Lo splendore dei tuoi capelli,
Senza gioia, con pena
Mi toccò abbandonarti.

Ricordo le notti autunnali,
Il fruscio dell’ombre di betulla.
Fossero stati più brevi i giorni allora
Più a lungo per noi Avrebbe avuto splendore la luna.

Ricordo, tu mi dicevi:
< E tu, o amato, con un’altra
Mi dimenticherai per sempre>>.

Oggi il tiglio in fiore
Ha rinnovato i sentimenti,
M’ha ricordato come teneramente
Spargevo di fiore le ciocche ricciute

E il cuore che mai
Non scema d’ardore
Tristemente amando un’altra,
Come tu fossi la novella preferita,
Con un’altra ti ricorda.


                                        

Una sera azzurra

Una sera azzurra, una sera di luna
Sono stato giovane e bello.

Irrevocabile, irripetibile
Tutto è volato via…lontano, senza sosta…

Il cuore è freddo ormai e gli occhi senza luce.
Azzurrà felicità! Notti di luna!


                                        

Non invano hanno soffiato i venti 

Non invano hanno soffiato i venti,
Non invano c’è stata la tempesta.
Un misterioso qualcuno ha colmato
I miei icchi di plaida luce.

Qualcuno con primaverile dolcezza
Ha placato nella nebbia azzurrina
La mia nostalgia per una bellissima,
Ma straniera, arcana terra.

Non mi opprime il latteo silenzio,
Non mi angoscia la paura delle stelle.
Mi sono affezionato al mondo e all’eterno
Come al focolare natio.

Tutto in esso è buono e santo,
E ciò che turba è luminoso.
Schiocca sul vetro del lago
Il papavero rosso del tramonto.

E senza volerlo nel mare di grano
Un’immagine si strappa dalla lingua:
Il cielo che ha figliato
Lecca il suo rosso vitello. 


                                        

Sono l’ultimo poeta del villaggio

Sono l’ultimo poeta del villaggio,
Nei miei canti è modesto il ponte di tavole.
Assisto alla messa d’addio
Delle betulle che incensano.

Si struggerà in una fiama d’oro,
La candela di cera corporale;
L’orologio di legno delLa luna
Rantolerà la mia ora dodicesima.

Sul sentiero del campo ceruleo
Uscirà presto l’ospite di ferro,
E il suo nero pugno raccoglierà
L’avena che versa l’aurora.

Morte mani straniere, questi canti
Non vivranno per voi!
Si affliggeranno per l’antico padrone
Solo le spighe-cavalle.

Celebrando una danza funeraria,
Suggerà il vento il loro nitrito.
Presto, preso un orologio di legno
Rantolerà la mia dodicesma ora.


                                        

Arrivederci, amico mio, arrivederci

Arrivederci, amico mio, arrivederci,
Tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
Un futuro incontro promette.

Arrivederci, amico mio,
Senza strette di mano e parole,
Non rattristarti e niente
Malinconia sulle ciglia:
Morire in questa vita non è nuovo,
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.


                                        

Traduzione a cura di Bruno Carnevali