Andrei Tarkovsky

Dice di sé …

“Preferisco esprimermi metaforicamente. Lasciatemi sottolineare: metaforicamente, non simbolicamente. Un simbolo contiene in sé un significato definito, una certa formula intellettuale, mentre la metafora è un’immagine. Un’immagine che possiede le stesse caratteristiche distintive del mondo che rappresenta. Un’immagine – al contrario di un simbolo – ha un significato indefinito. Non si può parlare del mondo infinito applicando strumenti definiti e finiti. Possiamo analizzare la formula che costituisce un simbolo, mentre la metafora è un essere-dentro-sé, è un monomio. Cade a pezzi ad ogni tentativo di toccarlo. “

L’arte invece si rivolge a tutti nella speranza di produrre un’impressione,
di essere, prima di tutto, sentita, di suscitare uno sconvolgimento emotivo e di essere accettata, di soggiogare l’uomo non con qualche inconfutabile argomento razionale, bensì con quell’energia spirituale che l’artista ripone in essa. […]
L’arte esiste e si afferma là dove esiste quell’eterna e insaziabile nostalgia della spiritualità, dell’ideale, che raccoglie gli uomini attorno a essa”.

All’inizio del suo film “Lo specchio” viene recitata una poesia di suo padre che qui riportiamo

Arsenij TarkovskijPrimi incontri

“Ogni istante dei nostri incontri 
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello, 
scendevi come una vertigine 
saltando gli scalini, e mi conducevi 
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità 
nel destarmi: “Tu sia benedetta”, 
dissi, conscio di quanto irriverente fosse 
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e – Dio mio! – tu eri mia.Ti destasti e cangiasti 
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tu svelò 
il proprio nuovo significato: zar.Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi, 
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo…Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.

”Primi incontri (Pervye svidanija, in A. Tarkovskij, Poesie scelte , Milano 1989), traduzione di G. Zappi

scheda filmografia