Esenin Sergej Aleksandrovič

DI SE STESSO

Dall’età di due anni fui affidato al nonno materno, uomo discretamente agiato, presso il quale abitavano tre figli adulti e scapoli, con cui trascorsi quasi tutta la mia infanzia. I miei zii erano giovanotti di spericolatezza matricolata. Avevo tre anni e mezzo quando mi misero su un cavallo senza sella che subito lanciarono al galoppo. Ricordo che, completamente frastornato, mi tenni forte al garrese.

Sono nato nel 1895, il 21 settembre, nel villaggio di Konstantínovo, che si trova nella circoscrizione di Kuz’mín, appartenente al distretto e al governatorato di Riazàn’.

In seguito, mi insegnarono a nuotare. Uno di essi (zio Saša) mi prendeva con sé in barca, si allontanava dalla riva, mi denudava e mi gettava in acqua come un cagnolino. Inesperto e terrorizzato, agitavo le braccia mentre lui, finché non ero sul punto di affogare, non faceva che strillare: «Ehi! carogna! Ma sei proprio un buono a nulla?…» «Carogna» era per lui un appellativo affettuoso. Dopo ancora, a otto anni, per un altro zio facevo spesso le veci di cane da caccia, andando a prendere a nuoto le anatre impallinate. Sugli alberi mi arrampicavo molto bene. Fra i ragazzini ero sempre capobanda e attaccabrighe, e ne uscivo sempre con sgraffiature. Per la mia monelleria mi rimproverava solo la nonna, mentre il nonno qualche volta mi spronava lui stesso alle scazzottature e diceva spesso alla moglie: «E insomma, lasciamelo stare, cretina: così diventerà più forte!» La nonna mi amava con tutte le sue forze, e la sua tenerezza era sconfinata. Ogni sabato mi lavavano col sapone, mi accorciavano le unghie, mi ondulavano i capelli con olio da lampade perché il solo pettine non la spuntava sui miei riccioli. Ma anche l’olio poteva ben poco. Io ogni volta strillavo a più non posso, e perfino adesso continuo a sentire una certa avversione per il sabato. Così trascorse la mia infanzia. Divenuto adolescente, volevano fare di me un maestro di villaggio e a questo scopo mi mandarono in una scuola magistrale religiosa, al termine della quale avrei dovuto frequentare l’Istituto magistrale di Mosca. Fortunatamente, ciò non ebbe a verificarsi. A scrivere versi incominciai presto, a nove anni ma l’attività creativa consapevole la faccio risalire ai 16-17. Alcuni versi di questi anni; sono inclusi nella raccolta Radunica.


A diciotto anni rimasi stupito perché le riviste non pubblicavano i versi che io inviavo: così mi recai a Pietroburgo, dove mi accolsero con grande cordialità. Il primo che vidi fu Blok, il secondo Gorodeckij. Mentre guardavo Blok, mi scorreva il sudore perché era la prima volta che vedevo un poeta in carne e ossa.


Gorodeckij mi fece conoscere Kljuev sul quale fino ad allora non avevo mai sentito parola alcuna. Con Kljuev nacque una grande amicizia, nonostante tutto ciò che nell’intimo ci divideva. In quel periodo frequentai per un anno e mezzo l’Università Šanjavskij, e tornai in campagna. All’università conobbi i poeti Semenovskij, Nasedkin, Kolokolov e Filipèenko.


Fra i poeti contemporanei apprezzavo soprattutto Blok, Belyj e Kljuev. Belyj mi ha dato molto per quel che riguarda la forma, mentre Blok e Kljuev mi hanno insegnato il lirismo.Nel 1919, con un gruppo di amici, pubblicai il manifesto dell’immaginismo: che era la scuola della forma poetica che noi intendevamo promuovere. Ma questa scuola, non poggiando su fondamenta, si estinse da sé, dopo aver abbandonato la verità per l’immagine organica. Ai miei molti versi e poemi religiosi rinuncerei volentieri, ma essi sono molto rappresentativi del cammino di un poeta prima della rivoluzione.


Da quando ebbi otto anni, la nonna prese a trascinarmi per svariati monasteri; a casa faceva alloggiare perennemente ogni specie di pellegrini e di pellegrine. Si cantavano vari inni religiosi. Il nonno era tutt’altro tipo. Quanto al bere non era uno sciocco. E per lui vi erano continue nozze senza sacramenti.In seguito, lasciata la casa di campagna, dovetti a lungo ingegnarmi per sbarcare il lunario. Negli anni della rivoluzione fui interamente dalla parte dell’Ottobre, anche se accolsi il tutto a modo mio, dal punto di vista contadino. Per quel che riguarda l’evoluzione della forma, sono sempre più attirato da Puškin.

Quanto alle altre notizie biografiche, esse sono nei miei versi.

Ottobre 1925

“Non tutti son capaci di cantare
E non a tutti è dato di cadere
Come una mela, verso i piedi altrui.

È questa la più grande confessione
Che mai teppista possa confidarvi.

Io porto a bella posta la testa spettinata
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace nella tenebra schiarire
Lo spoglio autunno delle anime vostre”

da “Confessioni di un teppista”, di Sergej Aleksandrovič Esenin

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