Paul Celan

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Salmo

Nessuno c’impasta di nuovo, da terra e fango,
nessuno insuffla la vita alla nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno.
E’ per amor tuo
che vogliamo fiorire.
Incontro a
te.
Noi un Nulla
fummo, siamo,
resteremo, fiorendo:
la rosa del Nulla,
la rosa di Nessuno.
Con
lo stimma anima-chiara,
lo stame ciel-deserto,
la corona rossa
per la parola di porpora
che noi cantammo al di sopra,
ben al di sopra
della spina.

Note: dalla raccolta “La rosa di nessuno”, Traduzione di Giuseppe Bevilacqua. VIDEO: “Salmo” , “Psalm” letto dall’autore , “Psalm” cantato da Ute Lemper


                                        

Dormi dunque

Dormi dunque
e il mio occhio rimarrà aperto
la pioggia colmò la brocca
noi la vuotammo
la notte germinerà un cuore
il cuore un breve stelo
ma per mietere è troppo tardi
falciatrice.
Vento notturno
così candidi sono i tuoi capelli
candido ciò che mi resta
candido ciò che perdo
ella conta le ore e io conto gli anni
noi bevemmo pioggia
pioggia, bevemmo.

note:


                                        

Corona

L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l’affanno abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.

È tempo.

Note: da Papavero e memoria, 1952, traduzione di Giuseppe Bevilacqua.


                                        


Espembaum (Pioppo)

Pioppo tremulo, bianchi lanciano sguardi al buio le tue foglie.
Di mia madre i capelli mai si fecero bianchi.

Dente di leone, così verde è l’Ucraina.
La mia bionda madre non tornò a casa.

Nube di pioggia, tu ti trattieni ai bordi delle fonti?
La mia sommessa madre piange per tutti.

Stella rotonda, tu stringi il nodo al nastro dorato.
Di mia madre il cuore si piagò di piombo.

Porta di quercia, chi ti scardinò?
La mia mansueta madre non può giungere.
Note: da  Mohn und Gedächtnis, traduzione di Anna Maria Curci.


                                        

Argumentum e silentio
per Renè Chare

Lì, reca anche tu, ora,
ciò che albeggiando vuol crescere
insieme ai giorni: reca
la parola sorvolata dagli astri,
sommersa dai mari.

Messa alla catena
tra oro e oblio:
la notte. Entrambi su essa
stesero le loro mani. Ed essa
entrambi lasciò fare.

A ciascuno la sua parola.
A ciascuno la parola che gli si fece canto,
allorché la muta lo giunse alle spalle,
a ciascuno la parola che si fece canto e impietrì.

Ad essa, alla notte, la parola
che sorvolano gli astri e i mari sommergono,
ad essa la parola vinta al silenzio,
cui il sangue non caglio quando trafisse
le sillabe quel dente di vipera.

Alla notte la parola vinta al silenzio.

Contro parole altre che presto
-corteggiate dalle orecchie puttane del boia-
s’introneranno su Tempo e tempi,
essa in estremo testimonia, quando,
in estremo, non vi sarà che suono di catene,
essa testimonia della notte, che lì giace
tra l’oro e l’oblio, stretta
all’uno e all’altro, da sempre.

Poiché, dimmi, dove mai albeggia,
se non in lei,
che nelle rive inondate delle sue lacrime
a soli occidui mostra più volte
dove è semente?

Note: trad. G. Bevilacqua

Paul Celan

Note: dalla raccolta “La rosa di nessuno”, Traduzione di Giuseppe Bevilacqua. VIDEO: “Salmo” , “Psalm” letto dall’autore , “Psalm” cantato da Ute Lemper


                                        

Dormi dunque

Dormi dunque
e il mio occhio rimarrà aperto
la pioggia colmò la brocca
noi la vuotammo
la notte germinerà un cuore
il cuore un breve stelo
ma per mietere è troppo tardi
falciatrice.
Vento notturno
così candidi sono i tuoi capelli
candido ciò che mi resta
candido ciò che perdo
ella conta le ore e io conto gli anni
noi bevemmo pioggia
pioggia, bevemmo.

note:


                                        

Corona

L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l’affanno abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.

È tempo.

Note: da Papavero e memoria, 1952, traduzione di Giuseppe Bevilacqua.

Pioppo tremulo, bianchi lanciano sguardi al buio le tue foglie.
Di mia madre i capelli mai si fecero bianchi.


                                        


Espembaum (Pioppo)

Dente di leone, così verde è l’Ucraina.
La mia bionda madre non tornò a casa.

Nube di pioggia, tu ti trattieni ai bordi delle fonti?
La mia sommessa madre piange per tutti.

Stella rotonda, tu stringi il nodo al nastro dorato.
Di mia madre il cuore si piagò di piombo.

Porta di quercia, chi ti scardinò?
La mia mansueta madre non può giungere.
Note: da  Mohn und Gedächtnis, traduzione di Anna Maria Curci.


                                        


Argumentum e silentio
per Renè Chare

Messa alla catena
tra oro e oblio:
la notte. Entrambi su essa
stesero le loro mani. Ed essa
entrambi lasciò fare.

Lì, reca anche tu, ora,
ciò che albeggiando vuol crescere
insieme ai giorni: reca
la parola sorvolata dagli astri,
sommersa dai mari.

A ciascuno la sua parola.
A ciascuno la parola che gli si fece canto,
allorché la muta lo giunse alle spalle,
a ciascuno la parola che si fece canto e impietrì.

Ad essa, alla notte, la parola
che sorvolano gli astri e i mari sommergono,
ad essa la parola vinta al silenzio,
cui il sangue non caglio quando trafisse
le sillabe quel dente di vipera.

Alla notte la parola vinta al silenzio.

Contro parole altre che presto
-corteggiate dalle orecchie puttane del boia-
s’introneranno su Tempo e tempi,
essa in estremo testimonia, quando,
in estremo, non vi sarà che suono di catene,
essa testimonia della notte, che lì giace
tra l’oro e l’oblio, stretta
all’uno e all’altro, da sempre.

Poiché, dimmi, dove mai albeggia,
se non in lei,
che nelle rive inondate delle sue lacrime
a soli occidui mostra più volte
dove è semente?

Note: trad. G. Bevilacqua